Inghilterra, ep. 3 - Sulle tracce del Professore


Quando le estati erano ancora lunghe, dedicavo un po' del mio tempo libero - a 21 anni ne avevo ancora parecchio - al patrimonio culturale, come sorvegliante volontaria presso mostre, siti archeologici e ville. A volte i turni si rivelavano interessanti (la mostra di El Greco, la Casina delle Civette appena restaurata...), altre volte non c'erano visitatori da indirizzare, perciò leggevo. Cercando un libro che durasse tutta l'estate, affrontai Il Signore degli Anelli, acquistato da mia madre molti anni prima e presto abbandonato nella libreria del corridoio. In effetti, il primo capitolo è di una noia mortale. Ma anche di altri scritti avevo trovato tremendi i primi capitoli e avvincenti gli altri (due su tutti, La morte a Venezia e Il pendolo di Foucault), così non mi lasciai scoraggiare. E come tanti prima di me, entrai nella Terra di Mezzo.

Iniziai a frequentare appassionati tolkieniani, alcuni dei quali divennero cari amici. Tra loro, una dozzina d'anni fa, incontrai anche Lorenzo, che mi colpì subito ma che liquidai dalla testa con un «Figuriamoci se un tipo così si accorge di una come me». A ognuno la propria strada, quindi, finché cinque anni e mezzo fa ci siamo ritrovati insieme.
I libri di Tolkien sono notevoli o addirittura capolavori. Tuttavia, non considererei questo autore più di altri, se non mi avesse portato degli amici e Lorenzo. Quando si dice di un libro che cambia la vita.


Oxford
Il pittoresco Medioevo di Stratford mi ha resa esigente per tutto il resto del viaggio. Eppure Oxford, nonostante sia più grande e moderna, è una bella città, con i suoi edifici solenni e aguzzi. Siamo qui per rendere omaggio a John Ronald Reuel Tolkien, che vi ha studiato, insegnato e vissuto. E scritto, naturalmente.
È la tappa in cui camminiamo di più, tanto che torno in Italia con una tendinite. Ma è ovvio: non posso andare in vacanza senza soffrire almeno un po', sarà karma o senso di colpa per aver osato divertirmi.

Oxford è tutta un'università, o meglio un insieme di università, ognuna con diversi palazzi, facoltà, biblioteche, campi sportivi, parchi e cappelle. Già la Loughborough University aveva fatto sfigurare le tre università pubbliche romane... Oxford, con tutti i suoi college, non si pone nemmeno a paragone. Anche in agosto, è piena di gente. Di ogni nazionalità, come quasi ovunque in Inghilterra: sopra l'immancabile negozio indiano, una bandiera scozzese sventola da un balcone adattato a colombaia; la maggior parte degli studenti in giro per le strade sembra cinese e in una chiesa ha sede un centro studi sull'Islam.


A sera camminiamo nella pioggia e nello scampanio della cappella del Magdalen College. Lungo un canale è parcheggiata una quantità impressionante di canoe, che evocano le sfide sportive con la storica rivale Cambridge. Ceniamo al The Eagle & the Child, in cui il professor Tolkien passava le serate assieme a C. S. Lewis e agli altri Inklings, e siamo conquistati dalla tranquillità dei pub inglesi. Niente a che vedere con i locali ad alto tasso di decibel: qui l'atmosfera è allegra, ma si può parlare persino a bassa voce.

Il giorno dopo l'autobus ci porta al Wolvercote Cemetery, dove una serie di pietre indirizza verso la tomba di Tolkien e della sua amata moglie Edith. Nel piccolo perimetro del sepolcro cresce un'alta pianta di rose. E poi, fiori veri e finti, sassi, monete, nastri, biglietti, disegni, un dado da venti... Segni della gratitudine di innumerevoli appassionati. A questa testimonianza neanche noi ci tiriamo indietro: non saremmo lì insieme, altrimenti.
Raccontare certe emozioni è difficile e sicuramente poco efficace: si tratta di qualcosa di troppo personale perché risulti chiaro. Come detto, non considererei Tolkien più di altri scrittori, se leggere i suoi libri non mi avesse dato tanto in termini di condivisione e relazione. Potrei anche scrivere che mi ha dato l'amore, se non mi venisse la nausea per la retorica.
Qui davanti a noi, che osserviamo abbracciati, c'è la tomba di un professore abitudinario ma dall'incredibile immaginazione, e della donna che lui ha scelto per la vita, tanto da chiedere che, sulla lapide, ai loro nomi fossero associati quelli di Beren e Luthien, la storia d'amore più intensa e avventurosa che ha scritto. Qui c'è un pezzetto della Terra di Mezzo sulla quale hanno sognato generazioni di persone in tutto il mondo. O forse c'è solo ciò che resta di una tranquilla coppia di anziani innamorati.


Di ritorno verso il centro perlustriamo uno dei parchi dell'università in cerca dei due alberi piantati dalla Tolkien Society e dalla Mythopoeic Society in occasione del centenario della nascita del Professore. Cercare due alberi in un parco è abbastanza paradossale. Dopo tanto vagare, sbotto in un: «Non li troveremo mai!», e loro si materializzano davanti a noi. A saperlo, che bastava così poco...
L'albero che simboleggia il dorato Laurelin appare un po' striminzito, mentre quello che incarna Telperion è davvero imponente. E di nuovo mi basta dire: «Be', non sembra tanto argenteo!», che una folata di vento agita le foglie, mostrando il loro lato biancastro. Ok, albero, mi hai smentita, ma non esagerare con l'esibizionismo.


Concludiamo la tappa oxfordiana come l'abbiamo iniziata: camminando e osservando. La casa in cui ha vissuto la famiglia Tolkien e quella in cui il Professore, ormai vedovo, ha trascorso i suoi ultimi giorni; l'Exeter College in cui ha insegnato (e che, molti anni dopo, ha offerto una magnifica scenografia per la saga cinematografica di Harry Potter); l'orrendo edificio moderno da cui si può ammirare un enorme laboratorio di ingegneria...
Uno dei tanti cantieri estivi coinvolge un'antica biblioteca e, a coprire i lavori, c'è un lungo cartellone, che associa ogni lettera dell'alfabeto a un autore presente su quegli scaffali. T come Tolkien, ovviamente. A come... "a lady", la nostra prossima tappa.

Cappella dell'Exeter College

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