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Mozart e l'Olocausto


[Brano consigliato per iniziare: W.A. Mozart, messa da Requiem in Re minore K 626]

Oggi è la Giornata della Memoria. E ricorre anche l'anniversario della nascita di Wolfgang Amadeus Mozart. Una pura coincidenza che non significa nulla, ma che può fare riflettere proprio per la diversità dei due eventi. Sono agli antipodi.

Da un lato, il punto più basso dell'umanità, o meglio della disumanità. L'arroganza e la crudeltà che hanno provocato nel corso della storia infiniti massacri e genocidi vergognosi, con la Soluzione Finale nazista applicano a questo scopo la calcolata efficienza della struttura industriale. È un punto di non ritorno, la macchia nella coscienza umana che riunisce e amplifica tutte le macchie precedenti.

Dall'altro lato c'è l'arte, in particolare la musica. Una delle espressioni più antiche del genere umano e quella che, secondo la scienza, va a stimolare il cervello come nessun'altra. Volendo poi restare sul personaggio, al di là della sua vita mortale, Mozart è stato uno degli artisti più importanti di ogni tempo, un genio dal talento unico. Le sue composizioni sono studiate tra l'altro per gli effetti benefici che hanno sulla psiche umana, sugli animali e persino sulle piante. È un esempio - non l'unico, per fortuna - della grandezza della creatività umana, che diventa quasi divina.

La bellezza può salvare il mondo? Sinceramente, non lo so.
Spesso la parte oscura e cattiva dell'essere umano sembra prevalere ovunque, creando sistemi complessi di paura, sopraffazione, odio e violenza. L'arte invece, che è espressione e quindi comunicazione, ci ricorda quanto possiamo elevarci, superare le epoche e le latitudini e toccare ben altre corde. Anche se non siamo Mozart.

[Brano consigliato per finire: W.A. Mozart, concerto per pianoforte e orchestra n. 21 in Do maggiore, KV 467]

Inghilterra, ep. 7 - Andata e ritorno

Great Hall, giardino della regina Eleanor

Ovvero: come raccontare dieci giorni di viaggio in sette mesi. Niente fretta.

Winchester
L'ultima tappa, quella delle piacevoli sorprese.
Includiamo Winchester nell'itinerario solo perché «ci è di strada per l'aeroporto e, già che ci siamo, andiamo a vedere la Tavola Rotonda». Invece, questa città medievale ci dà una bella lezione, piacendoci moltissimo.
Appena parcheggiati dietro l'angolo del nostro alloggio, ci accorgiamo di essere davanti all'ultima dimora di Jane Austen. Qui la scrittrice, ormai gravissima, fu portata invano da Chawton per poter essere assistita più da vicino dai medici. Oggi è una casa privata; dietro le tende, tirate contro l'indiscrezione delle macchine fotografiche, qualcuno si esercita al piano. Come faceva la Austen ogni mattina.

Libri: habitat naturale di Lorenzo

I dintorni dell'enorme cattedrale sono una successione di scorci, archi gotici e portici che ospitano vetrine di piccoli negozi, tra i quali gli immancabili charity shop. Quando scorgiamo una svendita di libri usati, Lorenzo non resiste al richiamo della carta ma, per fortuna dei nostri bagagli, a quello dell'acquisto sì.
Un'atmosfera piena di verde e di silenzio avvolge un gruppo di case antiche. Con un po' d'invidia, guardiamo dei ragazzi entrare e uscire con le buste della spesa da quelle dimore, un tempo riservate al clero e ora abitate da gente comune.

Great Hall, la Tavola Rotonda

Lontano dalla cattedrale, le vie del centro di Winchester fanno proprio domenica: sole, festoni, famiglie a passeggio, musicisti di strada. Andiamo di buon passo verso la Great Hall, ciò che resta del castello di Guglielmo il Conquistatore, dov'è affissa l'enorme Tavola Rotonda. Dovrebbe essere quella di Artù e dei suoi cavalieri, ma le pitture che la decorano sono dell'epoca di Enrico VIII. E, quando si dice il caso, il Re Artù ritratto al centro assomiglia parecchio al monarca marito seriale.

Great Hall, esterno

Dopo Shakespeare e Tolkien, anche la Austen merita il suo momento funebre. Nella grande cattedrale sono la sua lapide, una piccola mostra permanente, una targa commemorativa e una vetrata con santi associati all'arte, in particolare alla scrittura. E di nuovo penso a sua sorella Cassandra, che in una lettera alla nipote racconta del funerale e del fatto che a Jane quella cattedrale piaceva tanto...


Le pareti del vecchio pub che ci ospita sono coperte da una quantità impressionante di oggetti: collezioni di boccali, pipe, bastoni da passeggio e soprattutto cimeli legati a Winston Churchill. Vado in sollucchero per i piatti decorati a fiori e le tavolette di ardesia usate come vassoi.

Dopo l'atmosfera festosa del campus di Loughborough, la bellezza poetica di Stratford-on-Avon e quella maestosa di Oxford, l'eleganza di Bath, la solennità di Salisbury e Stonehenge, Winchester conclude degnamente il nostro viaggio in Inghilterra.

Meravigliose cose inglesi:
- le case
- la gentilezza diffusa
- i giardini
- pie, pastry e torte, veri killer epatici, ma di qualcosa si deve pur morire.

Maledette cose inglesi:
- il clima
- le monete. Quelle grandi valgono poco, quelle piccole valgono molto, ma anche no...
- i rubinetti separati per l'acqua rovente o ghiacciata. Orsù, amici albionici, la civiltà è progredita anche nel miscelatore.

Carichi di immagini e ricordi, coccolati dalla sorridente efficienza britannica, rientrare all'aereoporto di Fiumicino è come sempre un trauma, tra gente vestita meglio, forse, ma più vistosa, rumorosa e incarognita. No, non sto qui a fare stupide gare tra chi è meglio e chi è peggio. E poi a me piace la mia città. È solo che questo viaggio lo immaginavamo interessante, invece ci ha avvolto a sorpresa in un sereno benessere.

Inghilterra, ep. 6 - A casa di Jane


Chawton
Jane Austen ha vissuto qui dal 1809 al 1817
e da qui tutti i suoi lavori sono stati inviati nel mondo [...]
Un'arte come la sua non potrà mai invecchiare.

L'avevo tanto atteso, ma il giorno in cui visitiamo la casa-museo di Jane Austen mi vede debole e di cattivo umore. Maledetto clima inglese! Non tutti i mali vengono per nuocere, però: in condizioni di entusiasmo, mi sarebbe stato difficile mantere un certo distacco, soprattutto davanti alle parole strazianti di Cassandra Austen, nel raccontare la morte della sua amata sorella minore.

Il cottage è immerso nella campagna e nei boschi dello Hampshire e tutto qui comunica tranquillità. Il giardino, tipicamente inglese, è pieno di colori, profumi e api. Un grande albero offre la sua ombra e in un'aiuola crescono le piante che, all'epoca, erano usate per tingere la stoffa.


In una piccola dépendance c'è il locale del forno, dove le Austen cuocevano il pane e le pie, facevano il bucato e preparavano i salumi. Vi è esposto il calessino di Jane e Cassandra, trainato da un asino. Qua e là, sia all'aperto, sia nei locali, ci sono piccole iniziative per coinvolgere i visitatori.
Un salotto ospita il piccolo pianoforte su cui Jane si esercitava ogni mattina, mentre una stanza angusta e traboccante è la biblioteca del museo, che contiene pubblicazioni su di lei provenienti da tutto il mondo, comprese tesi di laurea... e ovviamente Lorenzo mi propone di mandare la mia. Ma, diciamocelo, non credo che il suddetto mondo ne senta il bisogno.


La cucina è rustica e bellissima, con le erbe messe a essiccare e l'onnipresente lavanda a profumare l'ambiente. L'abbiamo trovata un po' ovunque, nei posti che abbiamo visitato, ad esempio nella casa natale di Shakespeare a Stratford-on-Avon.
Qui si possono fabbricare sacchetti profumati con la lavanda, la garza e lo spago messi a disposizione, oppure si può provare a scrivere con inchiostro e penne d'oca. Le Austen e Martha Lloyd (l'amica di famiglia che viveva con loro) si occupavano della casa, del cucito e della cucina, ma quando ricevevano visite importanti chiamavano qualcuno a servire a tavola, o sarebbe stato disdicevole per il loro rango.


Nella piccola sala da pranzo è sistemato il tavolino su cui la Austen scriveva... e su cui smetteva immediatamente di farlo, quando sentiva aprirsi la porta. È il cimelio più importante, per i suoi ammiratori. Ma in ogni vetrina, su ogni mobile, c'è un pezzetto di vita reale e testimonianze familiari: abiti, lettere, medaglioni, spartiti, piccoli regali.


Cassandra e Jane erano legatissime, dividevano il letto come quando erano bambine. Mi commuove pensare a Cassandra Austen, rimasta vedova prima di sposarsi e mai più legatasi a un altro uomo, nubile come la sorella e ammiratrice di quest'ultima, che accudiva e probabilmente viziava. Forse è stata altrettanto colta ma meno brillante di Jane, magari non aveva un grande talento artistico, anche se le piaceva disegnare. Una figura inghiottita dal tempo eppure, dal poco che si sa di lei, così tristemente romantica.
È fin troppo facile pensare che Elinor e Marianne in Ragione e Sentimento, ovvero l'assennata sorella maggiore, amante del disegno e pronta a sacrificarsi per gli altri e l'anticonformista sorella minore, amante della musica e intollerante alle convenzioni, fossero proprio Cassandra e Jane, romanzate da quest'ultima.

In questa piccola casa, rassicurante dopo i tormentati anni a Bath, con la quotidianità campagnola, tra scrittura, pianoforte, faccende e passeggiate, una donna testarda e spiritosa ha immaginato dialoghi brillanti, tratteggiato personaggi veri e umani, ha dipinto l'amore con il cinismo e infine se n'è andata, troppo presto e molto dolorosamente. I suoi romanzi erano già famosi, ma pochi sapevano chi li aveva scritti.
E oggi, che il suo nome è usato come termine di paragone per romanzetti modaioli e storie d'amore stucchevoli... con quali affilate parole Jane smonterebbe il proprio mito?


Inghilterra, ep. 5 - Acqua e pietre

Cattedrale di Salisbury, il chiostro

Salisbury
Arriviamo sotto la pioggia e sotto la pioggia visitiamo la città. Il clima inglese cambia nel giro di mezz'ora e, come già scritto, mi provoca violenti attacchi di sonno. Sono anche fortunata: alle nostre latitudini, dove le variazioni metereologiche avvengono generalmente con calma, oltre alla letargia mi piombano addosso pessimismo e fastidio cosmici, ore prima che il cielo si annuvoli.
Seppur inzuppata, Salisbury ci appare graziosa: qualche antica casa stortignaccola, uno scorcio suggestivo vicino a una piccola diga, un canale in cui nuotano dei cigni e soprattutto un'altissima cattedrale gotica.


La fonte battesimale, foto dal blog Our Family Adventures

All'interno di questa, c'è un chiostro silenzioso e una fonte battesimale che è una vera opera d'arte moderna, studiata in modo tale che l'acqua che zampilla al suo interno non si increspi in superficie, ma faccia l'effetto di uno specchio. Solo avvicinandosi e ascoltandone il suono, si capisce di non avere davanti una lastra di vetro nero e lucido.


Per strada non c'è quasi nessuno, sarà il tempo, sarà l'ora; è ancora presto, ma decidiamo di concludere la nostra passeggiata cenando in un pub, dove siamo forse gli unici avventori estranei. Gli altri siedono attorno al bancone, chiacchierano e scherzano familiarmente tra loro. Magari si tratta di un gruppo di colleghi che bevono una birra prima di tornare a casa, o forse sono tutti vecchi amici, cameriere comprese. L'accogliente tranquillità che troviamo nei pub inglesi, anche in quelli più affollati, cozza con il frastuono dei sedicenti pub irlandesi, diffusi da tempo anche a Roma.

Questa è la nostra unica tappa non letteraria: dopo Tolkien a Loughborough e Oxford, Shakespeare a Stratford-on-Avon e la Austen a Bath, siamo qui per omaggiare delle pietre.


Stonehenge
«È tardi! È tardi!». Come il Bianconiglio, sono eccitata ai limiti dell'isteria, lungo la strada per la Piana di Salisbury. La gentilissima signora del bed & breakfast ci ha avvertiti: bisogna arrivare proprio all'apertura del sito archeologico, prima che arrivino i pullman turistici.
L'improvvisa apparizione dei megaliti all'orizzonte mi fa saltellare ancora di più sul sedile della macchina. Stonehenge, come Venezia, è uno di quei luoghi così famosi da sembrare scontati, pur nella loro bellezza, ma che invece dal vivo emozionano davvero.


Nella pianura, delimitata all'orizzonte da grandi tumuli funerari, le gigantesche pietre attirano inevitabilmente l'attenzione. Nelle loro cavità nidificano i corvi, mentre ai visitatori umani è proibito avvicinarsi. Solo alcune associazioni riconosciute, in occasioni particolari e con uno speciale permesso, possono entrare nel cerchio di pietre.
Si gira attorno al sito percorrendo un sentiero prestabilito, in un innaturale senso antiorario, e l'aspetto del cerchio di pietre cambia passo dopo passo. Le Pietre della Stazione, l'arco del solstizio, la Pietra del Sacrificio e, sull'antica via verso il fiume (ovviamente un altro Avon), la Pietra del Tallone.

È impressionante pensare allo sforzo titanico di tante persone che, all'alba dei tempi, hanno trasportato per centinaia di chilometri queste pietre immense, dal Galles fino a qui. Ed è anche bello immaginare che siano state invece fatte volare dall'Irlanda da un incantesimo di Merlino.
Non posso esimermi dal mandare un messaggio a Rosanna, che mi chiede di portarle un sassolino per ricordo; sorpresa, nell'erbosa Piana di Salisbury gli unici sassi autentici sono quelli che troneggiano davanti a noi, come minimo poco portabili. Potrà accontentarsi la nostra amica sciamana di un sassolino della ghiaia del parcheggio, eroicamente procurato da Lorenzo?

L'arco centrale, allineato col sole al soltizio d'estate.
Davanti, la Pietra del Sacrificio.

Ricomincia a piovere, e d'improvviso un'enorme e rumorosa folla multilingue sciama dal sottopassaggio che collega il parcheggio al sito archeologico: sono arrivati i pullman turistici, tanti e pieni. La signora del bed & breakfast non scherzava: è impossibile ora ammirare i megaliti come si deve, in pace reverenziale.
Ci allontaniamo da Stonehenge, dalla piana, da Salisbury e dalla sua contea. Il viaggio si avvicina al tramonto ma, percorrendo idealmente un percorso arturiano, c'è ancora una città medievale che ci aspetta. E, letterariamente parlando, un famoso cottage nel cuore dello Hampshire.

La Pietra del Tallone

Inghilterra, ep. 4 - Lettera di una non più giovane donna a un'amica

Il Circus

Mia cara Gaia,
dirigendoci verso Bath, il mio cavaliere s'è ribellato alle insistenze del navigatore. Non dubito che questi avrebbe gradito mostrarci l'ennesimo percorso tra campi e boschi ma - pur apprezzando uno spettacolo così pittoresco - il tragitto da Oxford sarebbe stato ben lungo e debilitante; dunque il mio eroe ha preferito ignorare la stizzita voce metallica e affidarsi alla segnaletica stradale. A pochi chilometri dalla città termale, la nostra corsa s'è arrestata in una lunga fila e a noi è sembrato d'essere di nuovo a casa: c'è poca differenza tra la campagna inglese e quella romana, se la si guarda fermi in coda.

Bath ci si è presentata elegantemente omogenea, con alti edifici in pietra chiara. Tutto sembrava appropriato e costoso, persino la nostra stanza era oltremodo lussuosa. Sono andata subito a cercare notizie della cara zia Jane. Il centro a lei dedicato è in Gay Street; nome promettente, sebbene l'unico pride, qui, sia legato al prejudice.

Le Assembly Rooms

Il Jane Austen Centre è un museo assai interessante, con sala da tè Regency al piano superiore e personale abbigliato in stile. A questo proposito, avrei voluto essere immortalata davanti alla statua della nostra cara Jane, ma quando il rubicondo maestro di cerimonie mi ha offerto il braccio per mettersi in posa accanto a me, ho ritenuto scortese ignorarlo.

Fuori, tra le strade ampie, trafficate e pulite, ho guardato i portoncini delle case, ognuna con la scaletta e la ringhiera davanti al portoncino; ho cercato d'immaginare i quasi sei anni di Jane qui, quanto poco potesse tollerare le pastoie di un ambiente in cui l'apparenza era tenuta in così gran conto e quanto dovesse mancarle il verde dello Hampshire, tra queste mura un tempo annerite dai fumi del carbone.
Tuttavia, le Assembly Rooms mi hanno fatta pensare anche all'emozione e alle aspettative di una giovinetta introdotta in società, in particolare naturalmente a l'ingenua Catherine Morland a cui ci dedichiamo da tempo.

Pulteney Bridge

Passeggiando verso le antiche terme, la città ci è apparsa sempre più raffinata e scenografica. Pulteney Bridge si staglia sull'Avon - stesso nome, ma diverso fiume rispetto a quello di Stratford - come una spettacolare replica del Ponte Vecchio di Firenze, i giardini e l'Abbazia goticheggiante si offrono impeccabili alla vista e le vestigia romane sono ben tenute e perfettamente integrate nell'architettura settecentesca.

Ingresso alla Pump Room

La folla al museo delle terme era impressionante: segno dell'interesse dei visitatori inglesi verso la civiltà romana, ho supposto. Tuttavia, non essendo noi inglesi e godendo di una certa dimestichezza con gli usi, i costumi e le infrastrutture dei nostri avi, abbiamo preferito dirigerci quanto più velocemente la ressa lo consentisse verso le Aquae Sulis vere e proprie.
Incastonate nell'edificio eretto sulle fondamenta romane, le vasche di acqua calda ci sono sembrate suggestive anche alla modesta luce di un giorno uggioso; devono essere particolarmente affascinanti quindi di sera, illuminate dalla soprastante Pump Room.

Terme romane e Abbazia

Bath è una località ambita e alla moda, e lo è da 2.500 anni, a quanto si ipotizza. Aver respirato, seppure per un solo giorno, l'atmosfera de L'abbazia di Northanger e di Persuasione, mi ha fatto desiderare di raggiungere al più presto i luoghi in cui la vena artistica della signorina Austen ha dato il meglio di sé.
Ci siamo quindi rimessi in viaggio, diretti a Sud-est, dal Somerset al Wiltshire, verso un altro fiume Avon. Chissà, forse la nostra Jane avrebbe avuto maggiore fantasia nel battezzare i corsi d'acqua. Oppure, a suo tempo, ha ideato qualche bizzarro paradosso fluviale, prima di dedicarsi a equivoci sentimentali.

La tua
Simona

La King's Spring nella Pump Room

Inghilterra, ep. 3 - Sulle tracce del Professore


Quando le estati erano ancora lunghe, dedicavo un po' del mio tempo libero - a 21 anni ne avevo ancora parecchio - al patrimonio culturale, come sorvegliante volontaria presso mostre, siti archeologici e ville. A volte i turni si rivelavano interessanti (la mostra di El Greco, la Casina delle Civette appena restaurata...), altre volte non c'erano visitatori da indirizzare, perciò leggevo. Cercando un libro che durasse tutta l'estate, affrontai Il Signore degli Anelli, acquistato da mia madre molti anni prima e presto abbandonato nella libreria del corridoio. In effetti, il primo capitolo è di una noia mortale. Ma anche di altri scritti avevo trovato tremendi i primi capitoli e avvincenti gli altri (due su tutti, La morte a Venezia e Il pendolo di Foucault), così non mi lasciai scoraggiare. E come tanti prima di me, entrai nella Terra di Mezzo.

Iniziai a frequentare appassionati tolkieniani, alcuni dei quali divennero cari amici. Tra loro, una dozzina d'anni fa, incontrai anche Lorenzo, che mi colpì subito ma che liquidai dalla testa con un «Figuriamoci se un tipo così si accorge di una come me». A ognuno la propria strada, quindi, finché cinque anni e mezzo fa ci siamo ritrovati insieme.
I libri di Tolkien sono notevoli o addirittura capolavori. Tuttavia, non considererei questo autore più di altri, se non mi avesse portato degli amici e Lorenzo. Quando si dice di un libro che cambia la vita.


Oxford
Il pittoresco Medioevo di Stratford mi ha resa esigente per tutto il resto del viaggio. Eppure Oxford, nonostante sia più grande e moderna, è una bella città, con i suoi edifici solenni e aguzzi. Siamo qui per rendere omaggio a John Ronald Reuel Tolkien, che vi ha studiato, insegnato e vissuto. E scritto, naturalmente.
È la tappa in cui camminiamo di più, tanto che torno in Italia con una tendinite. Ma è ovvio: non posso andare in vacanza senza soffrire almeno un po', sarà karma o senso di colpa per aver osato divertirmi.

Oxford è tutta un'università, o meglio un insieme di università, ognuna con diversi palazzi, facoltà, biblioteche, campi sportivi, parchi e cappelle. Già la Loughborough University aveva fatto sfigurare le tre università pubbliche romane... Oxford, con tutti i suoi college, non si pone nemmeno a paragone. Anche in agosto, è piena di gente. Di ogni nazionalità, come quasi ovunque in Inghilterra: sopra l'immancabile negozio indiano, una bandiera scozzese sventola da un balcone adattato a colombaia; la maggior parte degli studenti in giro per le strade sembra cinese e in una chiesa ha sede un centro studi sull'Islam.


A sera camminiamo nella pioggia e nello scampanio della cappella del Magdalen College. Lungo un canale è parcheggiata una quantità impressionante di canoe, che evocano le sfide sportive con la storica rivale Cambridge. Ceniamo al The Eagle & the Child, in cui il professor Tolkien passava le serate assieme a C. S. Lewis e agli altri Inklings, e siamo conquistati dalla tranquillità dei pub inglesi. Niente a che vedere con i locali ad alto tasso di decibel: qui l'atmosfera è allegra, ma si può parlare persino a bassa voce.

Il giorno dopo l'autobus ci porta al Wolvercote Cemetery, dove una serie di pietre indirizza verso la tomba di Tolkien e della sua amata moglie Edith. Nel piccolo perimetro del sepolcro cresce un'alta pianta di rose. E poi, fiori veri e finti, sassi, monete, nastri, biglietti, disegni, un dado da venti... Segni della gratitudine di innumerevoli appassionati. A questa testimonianza neanche noi ci tiriamo indietro: non saremmo lì insieme, altrimenti.
Raccontare certe emozioni è difficile e sicuramente poco efficace: si tratta di qualcosa di troppo personale perché risulti chiaro. Come detto, non considererei Tolkien più di altri scrittori, se leggere i suoi libri non mi avesse dato tanto in termini di condivisione e relazione. Potrei anche scrivere che mi ha dato l'amore, se non mi venisse la nausea per la retorica.
Qui davanti a noi, che osserviamo abbracciati, c'è la tomba di un professore abitudinario ma dall'incredibile immaginazione, e della donna che lui ha scelto per la vita, tanto da chiedere che, sulla lapide, ai loro nomi fossero associati quelli di Beren e Luthien, la storia d'amore più intensa e avventurosa che ha scritto. Qui c'è un pezzetto della Terra di Mezzo sulla quale hanno sognato generazioni di persone in tutto il mondo. O forse c'è solo ciò che resta di una tranquilla coppia di anziani innamorati.


Di ritorno verso il centro perlustriamo uno dei parchi dell'università in cerca dei due alberi piantati dalla Tolkien Society e dalla Mythopoeic Society in occasione del centenario della nascita del Professore. Cercare due alberi in un parco è abbastanza paradossale. Dopo tanto vagare, sbotto in un: «Non li troveremo mai!», e loro si materializzano davanti a noi. A saperlo, che bastava così poco...
L'albero che simboleggia il dorato Laurelin appare un po' striminzito, mentre quello che incarna Telperion è davvero imponente. E di nuovo mi basta dire: «Be', non sembra tanto argenteo!», che una folata di vento agita le foglie, mostrando il loro lato biancastro. Ok, albero, mi hai smentita, ma non esagerare con l'esibizionismo.


Concludiamo la tappa oxfordiana come l'abbiamo iniziata: camminando e osservando. La casa in cui ha vissuto la famiglia Tolkien e quella in cui il Professore, ormai vedovo, ha trascorso i suoi ultimi giorni; l'Exeter College in cui ha insegnato (e che, molti anni dopo, ha offerto una magnifica scenografia per la saga cinematografica di Harry Potter); l'orrendo edificio moderno da cui si può ammirare un enorme laboratorio di ingegneria...
Uno dei tanti cantieri estivi coinvolge un'antica biblioteca e, a coprire i lavori, c'è un lungo cartellone, che associa ogni lettera dell'alfabeto a un autore presente su quegli scaffali. T come Tolkien, ovviamente. A come... "a lady", la nostra prossima tappa.

Cappella dell'Exeter College

Inghilterra, ep. 2 - La città del Bardo

Casa di Shakespeare

Stratford-on-Avon
Nella puntata precedente, dopo esserci persi a Loughborugh, Lorenzo aveva impostato il navigatore satellitare su un percorso a piedi... Be', sarebbe stato meglio ricordarsene prima di ripartire.
Così, le prime ore di viaggio trascorrono su strade di campagna strette, incredibilmente tortuose e pericolosamente a doppio senso, il tutto sotto la pioggia. Come battesimo di guida a sinistra con comandi invertiti, non c'è male. Tra l'altro, scoperto l'errore e impostato su uno speranzoso "percorso veloce", il navigatore sfoggia coerenza e, per i restanti sei gioni, continua a schifare le autostrade. Il che regala un paio di capelli bianchi in più a Lorenzo (ma è stato pur sempre il suo compleanno, a uno splendido quarantenne si addicono le tempie brizzolate), mentre io mi godo la vista della campagna inglese e dei suoi villaggi, tentando di resistere ai colpi di sonno. Il clima britannico è l'incubo di una meteoropatica.

 

Eppure, la bellezza del Warwickshire mi tiene ben sveglia. Nella città di Shakespeare, il centro è una scenografia ben curata, composta da edifici cinquecenteschi in cui le travi scure si intrecciano all'intonaco bianco, i vetri a piombo delle finestre riflettono la luce come scaglie di pesce e i pavimenti di legno sono inclinati e scricchiolanti. Sulle rive dell'Avon si accalcano barche, famiglie e stormi di cigni, i quali ostentano la spocchia di chi sa di figurare nello stemma della città.


A casa Shakespeare si entra in scena grazie a un percorso multimediale, a stanze con gli arredi d'epoca e al bel giardino, in cui attori in costume interpretano tra i visitatori alcuni dialoghi delle opere più famose. Stratford è una cittadina turistica e culturale, e Shakespeare è il suo business. Tuttavia, è un posto splendido, sereno e compìto nel suo prosperare in nome del Bardo.

Il Royal Shakespeare Theatre

Qui e altrove resto sorpresa dalla cortesia inglese. Non che mi aspettassi di avere a che fare con gli hooligan, ma si parla spesso della freddezza dei "nordici"... Sarà che non amo la chiassosa confidenza che i luoghi comuni attribuiscono ai mediterranei, sarà che nella quotidianità italica noto una dilagante rabbia e maleducazione (e no, l'avere "tanti problemi" non le giustifica), fatto sta che la terra d'Albione - così come era stato per l'Austria - mi conquista anche con la gentilezza e la discrezione. Dal cameriere del pub all'autista dell'autobus è tutto un please, sorry, thank you, lovely, enjoy... A Roma trovo gentile chi si limita a rispondere al "buongiorno".

Lungo l'Avon

Lascio malvolentieri Stratford, la passeggiata dall'ordinata periferia al centro, gli edifici antichi, il fiume, l'accoglienza squisita del Moss Cottage, persino il disagio di non poter partecipare alla conversazione mattutina con gli altri ospiti del bed & breakfast. Non vorrei davvero andarmene da qui, non subito almeno. Invece, ci chiama la città universitaria per eccellenza, e dal Bardo torniamo al Professore.

Inghilterra, ep. 1 - Si comincia da un viaggio


Ed ecco il verme che dimentica il compleanno del suo splendido quarantenne. Come ho potuto? Gli striscio accanto, tra un check-in e un terminal; lui - il quarantenne - sembra felice di partire, io - il verme - rinuncio a scoprire cosa ho lasciato nell'armadio. Anche fosse, stiamo andando in Inghilterra, mica nel deserto. Non capirò nessuno e non parlerò con nessuno, il mio inglese fa schifo. Come ho potuto dimenticare di fargli gli auguri prima di colazione? Che genio, mettere in valigia la felpa e il libro: ho aggiunto tre etti al bagaglio e mi sono consegnata inerme a due ore di aria condizionata. Perché non sono rimasta a casa?

Mai avuto l'istinto della viaggiatrice: l'idea di organizzare biglietti, alloggi, spostamenti e valigie mi scoraggia. Però poi parto, non per merito mio, e mi trovo incuriosita da tutto.
Per esempio, l'odore dell'aria inglese. Sa di stallatico, e rende bucolico anche il piazzale degli autobus. Dentro l'aeroporto, un albero di metallo argenteo simboleggia il legame tra antico e moderno. Forse mi piacerà, qui.
Le case inglesi: in pietra o mattoni, alcune con travi a vista, tutte col bovindo accanto alla porta e il giardino davanti. Tetti spioventi di tegole muschiose o coperti da morbide curve di paglia. Sì, mi piacerà qui.

The Return of the Ring, la fiaccolata

Loughborough
Camminiamo da più di un'ora lungo una strada residenziale, col sole in faccia e il rumore fastidioso dei trolley dietro ai calcagni. Il caldo fa evaporare le speranze di arrivare a questa benedetta università. Come minimo, abbiamo sbagliato fermata d'autobus. In mancanza di indigeni a cui appellarsi, Lorenzo estrae il navigatore satellitare e lo imposta sul percorso a piedi: siamo abbastanza stanchi da difettare di senso del ridicolo.

«In un posto così, tornerebbe la voglia di laurearmi», dice lui.
Il campus universitario è immenso, i numerosi e scarni edifici moderni nobilitati dallo sfacciato verde dei prati inglesi, dai tanti alberi e fiori, dal via vai di gazze e scoiattoli. I pochi studenti rimasti in agosto sono per lo più orientali, oltre a squadre di varie discipline ed età che usufruiscono dell'impressionante quantità di spazi sportivi. E poi ci sono i tolkieniani.
I primi quattro dei dieci giorni di viaggio passano qui, nell'Università di Loughborough, che ospita The Return of the Ring, manifestazione internazionale organizzata dalla Tolkien Society per celebrare i 75 anni dall'uscita de Lo Hobbit. Loro sì, che ricordano i compleanni.

Chi ha il coraggio di affettare Smaug?

Incontriamo amici di Roma e Modena, ceniamo insieme al pub, brindiamo a Lorenzo e io mi dispongo quietamente nello stato d'animo di chi attende che tutto passi, perché con il mio scarso inglese non posso seguire né conferenze, né laboratori, a mala pena riesco a ordinare un tè al bar. Tè per altro troppo forte, adatto a essere tagliato con il latte. No, grazie. Peppermint tea or white tea with apricot, thank you.
 
Accade che nel campus vi sia un enorme cedro dell'Himalaya che un bel giorno deve aver deciso di scrutare la terra anziché il cielo, formando con i suoi rami una tettoia vasta quanto un appartamento. E che il libro che ho portato con me mi scuota fino alle lacrime (Mangiando al chiaro di luna di Anita Johnston), e che la fauna tolkieniana si riveli - ancorché incomprensibile - di autentico e contagioso entusiasmo. Questo rende tutto molto più interessante.
Poi c'è la conferenza di Lorenzo, per l'Associazione Romana Studi Tolkieniani: il nostro Roberto lo introduce al pubblico attento e lui parla in perfetto inglese. Io non capisco quasi nulla: sono impegnata a trasmettergli telepaticamente ogni sorta di vibrazione positiva. Sulle poltroncine, lo ascoltano studiosi di riferimento mondiale in materia tolkienana; non stupisce che Lorenzo sia emozionato.

La Compagnie du Dragon Vert

Tutto inizia a sembrarmi familiare: la lunga camminata tra l'albergo e l'edificio delle conferenze, l'ombrosa cedro-casa, la passeggiata serale di gruppo per raggiungere il pub, le scatoline monoporzione di cereali che mi salvano dalla colazione full english, la necessità d'avere sempre sotto mano la sciarpa e gli occhiali da sole... Sono passati pochi giorni, ma un piacevole disorientamento mi mostra le recenti giornate lavorative come attraverso un vetro irregolare, distanti, sfuocate e anche un po' insensate.
Poco a poco, si salutano gli amici: Claudio, Giovanna e i loro ragazzi tornano a Modena, Manuel prosegue per Edimburgo, Cristina e Stefano con Roberto e Celeste si dirigono verso Cambridge.

L'ultima mattina a Loughborough c'è sole e pioggia, e Lorenzo si appresta ad affrontare l'auto a noleggio con i comandi invertiti, la guida a sinistra e le rotatorie. Lasciamo Tolkien per Shakespeare, diretti a Stratford-on-Avon.
La via prosegue senza fine.

La cedro-casa