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Quando scrivevo magie


Il 2001 è un anno ormai lontano e di tragedie collettive, ma ne ho un piccolo e piacevole ricordo. Nell'autunno del 2001, infatti, iniziavo a fare ricerche, a scrivere i profili dei personaggi e il soggetto del fumetto Isa & Bea Streghe tra noi.

Lavoravo in redazione da circa un anno e mi occupavo di altre testate per bambini (la mia preferita era Holly Hobbie), quando mi fu proposto di prendere parte a questo progetto come co-autrice. Non un fumetto a episodi autoconclusivi, ma una serie vera e propria, con uno sviluppo verticale (una vicenda che inizia e finisce nello stesso numero) e uno orizzontale, lungo e piuttosto complesso.

Isa, Bea e Tic Toc, il Guardiano delle Porte del Tempo.
Si parlava di streghe bianche e streghe nere, con due protagoniste adolescenti che, dal loro Medioevo, venivano spedite per punizione, attraverso le Porte del Tempo, ai giorni nostri. Quindi si seguivano Isabella e Beatrice nel loro familiarizzare con la scuola e la tecnologia, mentre le lotte tra congreghe medievali continuavano, sotto la minaccia comune della caccia alle streghe. Di serie in serie, il mondo di Isa & Bea Streghe si arricchiva di personaggi, luoghi fantastici ed esseri mitologici, sempre seguendo la crescita interiore delle due protagoniste e dei loro comprimari.

Ogni numero era pieno di articoli legati al mondo della magia e delle leggende, per questo mi capitava di studiare rudimenti sulle rune e sui Tarocchi, le origini delle feste e la vita nel Medioevo. La rubrica che preferivo scrivere era quella in cui consigliavo libri, film e serie tv di ambientazione fantastica. Forse non erano le due pagine che si facevano notare di più, ma tra il riassunto di una serie e l'altra di Streghe (telefilm che non m'è mai piaciuto!) ho avuto modo di accennare, tra le altre, alle opere di J.R.R. Tolkien, Michael Ende, Roald Dahl, Hayao Miyazaki, oltre che alla saga inventata da J.K. Rowling. Del resto, eravamo in piena "pottermania".

Finale muto di un episodio tragico.
Ogni tanto, mi è capitato anche di disegnare qualche dettaglio per il giornalino: piccoli elementi per completare un articolo, una texture ad acquerello simil-pergamena invecchiata...

Isa & Bea Streghe è stata un'esperienza stimolante, a volte davvero stancante, ma ne è valsa la pena. Anche perché alla sua uscita in edicola, nell'aprile 2002, ha riscosso un successo clamoroso e inaspettato, persino per noi che ci lavoravamo con tanta dedizione. E quindi, al resto del lavoro si è aggiunta una particolare gratitudine per le lettrici che si sono appassionate alla serie: bambine di sette anni come ragazze di diciotto e anche qualche lettrice e lettore più vicini alla trentina.

In redazione avevamo un paio di scatole in cui conservavamo la posta dei lettori: una scatola, con divisori, raccoglieva le lettere destinate a tutti gli altri giornalini; un'altra invece era solo per Isa e Bea, ed era sempre traboccante. E anche se abbiamo potuto rispondere solo a una piccola parte di quell'affettuosa corrispondenza, posso assicurare che io le ho lette tutte, ma proprio tutte quelle lettere: brevi, lunghe, sgrammaticate, poetiche, decorate con porporina, accompagnate da disegni e da figurine, mollette e nastrini, piccoli regali che alcune bambine mandavano alle loro beniamine streghe.

L'avventura in edicola di Isa & Bea Streghe è durata otto anni, si è conclusa improvvisamente per cause di forza maggiore, con il dispiacere di tutta la squadra che vi lavorava. Succede, purtroppo. Però ancora oggi, quando una ragazza mi dice: «Ma dài, scrivevi Streghe? Lo leggevo sempre!», rimango sorpresa dall'affetto che ancora circonda questo giornalino. In genere rispondo balbettando ringraziamenti impacciati, altro che le formule magiche in rima che recitavano Isa e Bea! Tra parentesi, per chi le ricorda, erano ispirate al linguaggio geniale de L'Armata Brancaleone.

Sì, perché era divertente inserire citazioni, pur sapendo che non sarebbero state notate: la figura di Sofia, l'anziana e saggia strega bianca, era ispirata a Obi-Wan Kenobi di Guerre Stellari; i nomi di Gurth/Melfaroth, Miriel e altri personaggi fantastici minori, derivavano dalle lingue inventate da Tolkien; ogni tanto c'era qualche spolverata di Shakespeare, di manga come Lady Oscar e I cavalieri dello Zodiaco, ma anche echi gotici e fantascientifici.

Una lunga avventura, con quelle che chiamavo "le mie bambine", Isa e Bea (e tutti gli altri), che a volte mi facevano disperare e però, alla fin fine, quante soddisfazioni, signora mia.

È stata un'avventura anche umana, portata avanti insieme al mio capo, Marco Iafrate, all'art director Gian Luca Oliveri, alla super-grafica Arianna Berti, agli illustratori Anna Maria Cotogni, Andrea Pucci, Maria Rita Gentili, Monica Catalano, Federica Salfo, Yoko Ippolitoni, Laura Carboni, Marco Gasperetti, Pierdomenico Sirianni, Marco Albiero, Stefania Rossini e Marco Troiani, Chiara Colagrande, Mario Palladino, Massimo Travaglini, Deborha Daniele, agli sceneggiatori Andrea Ferreri, Gaia Marfurt, Francesca Pecoraro Scanio, Marina Galatioto, Anna "Red", Alessio Danesi e, ultime ma non ultime, le colleghe redattrici e grafiche Sara Lorenzini, Daniela Neri, Alessandra Panu e Renata Petrucci.

Probabilmente dimentico qualcuno ma, in otto anni, più sei di distanza, oltre sessanta episodi e un numero imprecisato di uscite speciali, capita di avere vuoti di memoria. E per questo, non c'è formula che tenga! Saluti stregati!

C+B - Capovolgere il Blocco


Mesi fa, ho seguito con interesse la nascita del sito C+B, che parla con allegra concretezza alle persone - in particolare alle donne - che si trovano a volere o a dover cambiare vita, mettendosi a lavorare in proprio.

La sezione creativa del sito è curata da Stella, che mi ha gentilmente proposto di scrivere un articolo. Ma come potevo, essendo il blocco creativo? Be', ho scritto sul blocco creativo, come potete leggere qui.
C'è voluto qualche mese per mettere in piedi un testo sensato. Ora spero che possa piacere e far sentire meno solo chi si trova in questa situazione, com'è successo a me leggendo vari articoli e testimonianze, sia su C+B, sia su Roba da Disegnatori.

Devo quindi ringraziare Stella Mongodi e anche Francesca Marano, fondatrice e webmaster di C+B, perché senza il loro paziente aiuto l'articolo non sarebbe stato pubblicato.
Grazie a loro e a chi vorrà commentare e condividere la mia esperienza.

Northanger Comics, ep. 3


Gaia ha appena rinnovato la copertina del nostro progetto: eccola qui, fresca fresca, e spiegata meglio da lei stessa qui. Io, dal canto mio, concludo l'introduzione alla mia tesi spiegando perché, tra i sei romanzi di Jane Austen, ho scelto di lavorare proprio su L'abbazia di Northanger.

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La scelta di adattare in una sceneggiatura e poi in illustrazioni L’abbazia di Northanger, opera giovanile e meno nota della Austen, sta nel divertimento con il quale la si legge. Il romanzo gotico, di cui è parodia, ha un fascino innegabile: emozioni sconvolgenti, sentimenti assoluti, ambientazioni pittoresche e, su tutto, l’ombra inquietante del soprannaturale. E chi, da adolescente, non ha immaginato di vivere le stesse avventure dei propri eroi letterari?
Perciò, non stupisce che una sprovveduta fanciulla della borghesia rurale inglese, entrando per la prima volta in contatto con la vita di città e mettendo poi piede in un antico maniero, immagini di rivivere i segreti e i terrori della protagonista del libro che sta leggendo. Catherine come Emily, dunque, la sfortunata eroina de I misteri di Udolpho di Ann Radcliffe (Milano, BUR, 2010), pietra miliare del romanzo gotico, continuamente citato nel libro della Austen.


Ma qui non ci sono intrighi, patimenti e orrori; per sua fortuna Catherine, scaturita da una penna tagliente e sorprendentemente moderna, non si muove in uno scenario gotico, ove tutto è meraviglia. Al contrario, ogni sua fantasia è puntualmente smentita dalla banalità del quotidiano.
Catherine sogna il suo ingresso in società come una passerella dalla quale catturare l’ammirazione di tutti? Si troverà a far da scomoda tappezzeria in una sala affollata. Catherine crede d’aver trovato una mappa o un documento compromettente? Lo scritto si rivelerà essere solo una vecchia lista della spesa. Catherine pensa d’aver fiutato un mistero? Verrà smentita e rimproverata come una bambina proprio dal ragazzo che ama. Un continuo gioco di fantasia e realtà, una protagonista che fin dalle prime righe l’autrice definisce un’anti-eroina, adorabile nella sua ingenuità e nei suoi timidi smarrimenti.


C’è un’altra forte ragione che ha spinto chi scrive a scegliere questo romanzo: il sentirsi affine a Catherine Morland e, tramite lei, riuscire a ridere delle proprie debolezze. Con molta gratitudine per Jane Austen che, c’è da crederlo, si sarebbe schermita di fronte alla venerazione di cui ancor oggi viene fatta oggetto. Venerazione di cui, seduta nel suo angolo di scrittura, o vicino al camino dove “poteva bere tutto il vino che voleva”, avrebbe riso scuotendo la testa. Ma, forse, con una punta di compiacimento.
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Northanger Comics, ep. 2

Northanger Abbey, 2007

Nella puntata precedente, l'introduzione alla mia tesi si interrompeva con la domanda su cosa possano trovare i lettori moderni nei romanzi di Jane Austen. Continua qui, con un'ipotesi di risposta.

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Forse tra quelle pagine si trova il fascino di un tempo passato, di usanze pittoresche e – a volte fortunatamente – perdute, oltre a delle grandi storie d’amore. Tuttavia, questo non distinguerebbe Jane Austen da una qualsiasi altra autrice sette-ottocentesca. Ciò che colpisce, rispetto ai romanzi dell’epoca, è l’ironia, con tocchi di divertito cinismo, e il realismo con cui la Austen ha tratteggiato i suoi personaggi. Che non sono semplicemente “l’eroina”, “il principe azzurro” e “il rivale”, ma rispecchiano personalità complesse e concrete che chiunque, leggendo, può riconoscere come verosimili.

Chi non ha mai incontrato una ragazza impulsiva come Marianne Dashwood, un’adolescente con troppa fantasia come Catherine Morland o una donna che si nega aspettative come Anne Elliot? Per non parlare dei personaggi di contorno, più stilizzati e forse più immediatamente riconducibili alla nostra esperienza quotidiana: gli ipocondriaci Mr. Woodhouse e Mary Elliot, le affascinanti bugiarde Isabella Thorpe e Mary Crawford, le buone ma sciocche Mrs Allen e Mrs Palmer, e così via, in una girandola di umanità spesso esilarante.

Ragione e Sentimento, 1996

Paradossalmente, sono i protagonisti maschili a essere un po’ idealizzati: basta chiedere a qualsiasi Janeite, e dirà che di uomini al tempo stesso affascinanti, sensibili, premurosi, intraprendenti e - come la Austen avrebbe sottolineato - anche molto ricchi, del tipo di Mr. Darcy, del colonnello Brandon o di Mr. Knightley, non ne ha mai incontrati. Viene da chiedersi se Jane Austen stessa ne avesse conosciuto qualcuno, o se la sua fantasia non li avesse partoriti proprio per supplire all’eterna mancanza del partner perfetto.

Emma, 2009

Non si può motivare con certezza il motivo del continuo successo di quest’autrice; ogni lettore ha la propria risposta. Nel caso di chi scrive, c’è il piacere di una lettura brillante, in bilico tra romanticismo e spietatezza, con un comprensivo buon senso a tenere uniti i due estremi.

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Ragione e Sentimento, 1996

Northanger Comics, ep. 1

Northanger Abbey
interpretazione di Gaia e me


Qualche giorno fa, ho avuto il piacere di partecipare a un tè letterario organizzato dal Club Sofa & Carpet di Jane Austen e dalla pagina Facebook Roba da Vittoriani. Protagonista dell'evento era L'abbazia di Northanger, uno dei primi romanzi scritti dalla Austen. Non potevo mancare: da questo libro ho iniziato tempo fa a trarre una sceneggiatura che Gaia sta illustrando (qui alcune delle sue bellissime tavole), con l'intenzione di creare una graphic novel.

Lo spunto per questo lavoro mi è stato suggerito dalla professoressa Paola Bono, con l'idea di incentrare la mia tesi di laurea in DAMS sull'adattamento fumettistico. Il titolo della prova finale è stato Northanger Comics - "L'Abbazia di Northanger" di Jane Austen, da romanzo a fumetto.
Sembra incredibile, ma sono già passati quasi due anni dalla fine dell'università; l'atmosfera piacevole e interessante del tè letterario mi ha fatto tornare nostalgia per questa sceneggiatura che da troppo tempo mi riprometto di continuare e poi finisce sempre nelle retrovie degli impegni quotidiani. Allora ho pensato di pubblicare qui l'introduzione alla mia tesi, tanto per riprendere le fila dell'impresa. A puntate, come suggeritomi da Lorenzo, per non spaventare con un unico, lunghissimo post.

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Jane Austen è come un tubino nero: elegante, essenziale e non passa mai di moda. Si adatta perfettamente a una signora matura come a una ragazzina e, a seconda degli accessori - ovvero i punti di vista - si presta alle più disparate interpretazioni.

Orgoglio e Pregiudizio, 1995

Dalla seconda metà degli anni ’90 a oggi, la grande produzione di pellicole cinematografiche e serie televisive tratte dai suoi romanzi è impressionante. Nel 1995, la BBC trasmette una memorabile versione a puntate di Orgoglio e Pregiudizio, con protagonisti Jennifer Ehle e Colin Firth, ancor oggi considerato da alcuni l’unico Darcy possibile. L’anno successivo, Ragione e Sentimento, adattato mirabilmente da Emma Thompson e diretto da Ang Lee, riscuote consensi e riconoscimenti.
Non è certo la prima volta che i romanzi di Jane Austen prendono vita sullo schermo, eppure in questi sedici anni sia la televisione inglese, sia il cinema americano hanno proposto rifacimenti di tutti e sei i romanzi austeniani, quasi sempre interpretati dalle attrici del momento, ieri Gwyneth Paltrow (protagonista di Emma, Douglas McGrath, 1996), più recentemente Keira Knightley (nei panni di Elizabeth Bennet in Orgoglio e Pregiudizio, Joe Wright, 2005). Senza contare le pellicole e i libri che a quei romanzi semplicemente si ispirano, più o meno direttamente: dal grazioso film Il club di Jane Austen (Robin Swincord, 2008), tratto a sua volta dal romanzo Jane Austen Book Club (Karen Joy Fowler, Neri Pozza Editore), all’imbarazzante Orgoglio e Pregiudizio e zombie (Seth Grahame-Smith, 2009, Casa Editrice Nord), dal romanzo rosa L’indipendenza della signorina Bennet (Colleen McCullough, 2008, Milano, Rizzoli) alla serie tv Lost in Austen (ITV plc, 2008).

Ragione e Sentimento, 1996

Se poi ci si tuffa nel grande mare della Rete, si trovano club di appassionate - ma anche appassionati - in tutto il mondo, impegnate in incontri letterari, rievocazioni storiche e compravendita di oggettistica varia contraddistinta dal celebre ritratto in silhouette della “cara zia Jane”. Non mancano nemmeno i ricettari con piatti ispirati ai suoi personaggi, e persino miscele di tè che portano i loro nomi. Così, se “Lady Catherine de Bourgh” risultasse una portata un po’ indigesta, potrebbe bastare una tazza di “Mr. Bingley” ben zuccherato a mandarla giù. Al fanatismo, si sa, non c’è limite.

Ma com’è possibile che, oggi che al cinema impera il 3D e in tv hanno già fatto storia serie spregiudicate come Sex & the City, Jane Austen mantenga – anzi, sembri accrescere – il suo fascino per lettrici di ogni età ed estrazione sociale? Certamente alcune di loro hanno scoperto i suoi romanzi dopo averli visti al cinema, ma il ritmo e il piacere visivo di una pellicola non sempre assicurano un’altrettanto immediata intesa con il libro da cui essa è stata tratta. E dunque, cosa trovano in questi romanzi le moderne “Janeites”, come amano definirsi le appassionate austeniane?

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La domanda è aperta, a voi la risposta.

Becoming Jane, 2007

Gli assoluti della paura

«Tenere tanto a qualcosa, al punto di rinunciarvi. Sciocco, eh?»
«Per nulla. È la paura di fallire, di rovinare tutto per sempre. Il problema non è il fallimento né la paura, è il "tutto" e il "per sempre". Le idee sono fatte di assoluti, la vita no. Tieni tanto a qualcosa? Disamorati di quest'idea, tirala giù dal piedistallo, sporcala con la tua imperfezione. Smetti di fare l'innamorata e amala veramente».

Il post zero

«Ma com'è successo?».
«Non so, è stato un raptus improvviso... Sai com'è la vita: un attimo prima andava tutto bene, un attimo dopo ha aperto un blog».